Erba medica.
Disse così Grigorij. Semplicemente.
Il principe L'vov pareva perplesso, mentre il contadino stendeva il braccio come a coprire quella distesa di campi di segale.
Erba medica, ripetè. Poi si girò e prese quietamente la via di casa. Fino a Jasnaja Poljana c'erano quattro chilometri e Grigorij se li fece con una lentezza disperante. Come si confaceva a lui, e ai suoi pensieri.
Il principe restò su quel ciglio di terra, ad osservare il panorama dei suoi campi.
Pietroburgo scoloriva ormai sul bordo di un ricordo passato. Il palazzo nel centro della capitale, i ricevimenti, le corse all'ippodromo, i pranzi da Stolypin. E poi la vendita delle tenute di Černigov e Kostroma, l'appartamento di Mosca. La fabbrica di birra di Brjansk, perduta anche quella.
Pietroburgo scoloriva ormai sul bordo di un ricordo passato. Il palazzo nel centro della capitale, i ricevimenti, le corse all'ippodromo, i pranzi da Stolypin. E poi la vendita delle tenute di Černigov e Kostroma, l'appartamento di Mosca. La fabbrica di birra di Brjansk, perduta anche quella.
Ora c'era soltanto questo mare biondo di segale e la fattoria di Popovka. L'ultima cosa da salvare. L'origine della famiglia, il cuore stesso, la radice delle loro esistenze.
Non c'era altro. Niente più servi, niente più anime da contare.
Erba medica aveva detto Grigorij. Un contadino, s'intende. Cambiare tutto. Lasciarsi alle spalle la vita a corte, e rimboccarsi le maniche. Questo l'aveva capito. Chissà se l'avrebbe capito anche Sonja.
Era il 1886. Aveva appena 25 anni. E l'ultima cosa che gli rimaneva era la terra, era il tentativo di far crescere di nuovo qualcosa di concreto, di tangibile. Qualcosa che avesse un seme di vita al suo interno.
Erba medica, diceva Grigorij. Da far seccare e stipare nei magazzini per poi venderla al mercato di Tula. Sarebbe servita anche a ridare ossigeno ai terreni. Si, era quello che ci voleva. Rimettere le mani dentro la terra e riempire i polmoni di quell'aria asciutta e lieve. Imparare a nutrirsi di zuppa di cavoli e kaša. Bere il tè dal samovar che Ljubka teneva sempre bollente nelle sere cullate dall'Onegin. Ascoltare le bilyne raccontate dal vecchio Vasilij, e le storie sullo starec Makarij. E ogni tanto andare a trovare il vecchio Lev, a Jasnaja Poljana. Far crescere in questo modo i suoi figli.
Era sempre stato così del resto, fin dai tempi dei tempi. Fin da quando il suo antenato Rjurik aveva creato questo immenso paese. E poi affacciarsi con Sonja in veranda, nell'orlo di quei tramonti che arrossavano l'orizzonte, mentre gli ultimi carri dei fattori colmi di grano saraceno passano sulla strada per Mosca. Questo poteva davvero bastare.
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