Mi piace tornare dai miei in questo giorno dell'anno. Scendo dalla corriera qualche fermata prima e faccio a piedi una decina di chilometri fino alla nostra fattoria.
Mi mancano queste lunghe passeggiate da quando vivo a Riga. E poi mi piace l'odore umido e penetrante della terra di novembre. Costeggio i campi di segale e di grano, con le stoppie ormai appassite e i solchi fumiganti di terra ghiacciata, attraverso il bosco di Tervete, accarezzo i pallidi fusti delle betulle, annuso l'odore aspro del sottobosco acquoso. Ripercorro i sentieri della mie scorribande giovanili in cerca di funghi e mirtilli.
Quando esco dal bosco mi si para di fronte, in una lontananza azzurrognola, il fumo del camino della fattoria. Mia madre sta già cuocendo l'oca. Attraverso il pascolo, ascolto i rumori soffocati della stalla, certamente ormai piena di fieno per tutto l'inverno. Mio fratello mi vede, lascia le assi con cui sta rinforzando il tetto del granaio e salta giù per venirmi incontro. I suoi lunghi passi, decisi e forti, mi accompagnano a casa. Il suo abbraccio, breve e duro, mi racconta dei giorni passati senza vederci.
Dentro casa la luce di una lampadina fioca e gli sprazzi del fuoco che arde riverberano sulle pareti di legno un colore ambrato scuro che sa di buono e di caldo. Come di cose che non ci sono più.
Mia madre alza il capo dal fuoco e mi fa cenno di sedere a tavola. Mi sorride piano, senza una parola. Su un vassoio di legno riposano delle focaccine al miele e un tortino di carote.
Mi tolgo il cappotto e distendo le gambe sotto il tavolo. Me ne sto in silenzio. Succede sempre così, i primi minuti delle mie scarse visite a casa. Mi concedono il tempo del ritorno, mi riconsegnano i suoni e gli odori dell'infanzia. Nudi e senza gli orpelli di una conversazione.
Ed è così che io ritorno fra loro.
Poi il silenzio si rompe dalla porta d'ingresso. Mio padre entra come un tuono, con la selvaggina in mano e il fucile appoggiato alla spalla. Mio fratello versa due dita di vodka nei bicchieri. Ci sarà da bere e da mangiare fino a tarda sera. Mi chiederanno di Indra, lo so, e del perché non è venuta. E se sono davvero felice. Ed io resterò in attesa della notte, perché tornino quei rumori incerti e lontani dal bosco, e la penombra coi tizzoni accesi mi restituisca le stagioni passate, la mia infanzia, quei colori scuri alle pareti dove danzavano le ombre dei mie sogni.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
2 commenti:
Straordinaria atmosfera sospesa tra il passato ed il presente. La cascata degli attimi quotidiani che scroscia sul singolo istante del ritorno a un passato presente.
Bellissmo.
Iperdrepi
Ti ringrazio moltissimo, e benvenuto da queste parti!
Posta un commento